Obesità e genetica: un legame tra ereditarietà, predisposizione e sindromi rare
L’obesità non è solo il risultato di abitudini alimentari scorrette. È una condizione clinica complessa e multifattoriale, caratterizzata da un eccessivo accumulo di tessuto adiposo, in grado di compromettere significativamente la salute fisica e psichica.
Si parla di obesità a partire da un indice di massa corporea (BMI) pari o superiore a 30. Oggi, l’obesità rappresenta una delle maggiori sfide sanitarie a livello globale, coinvolgendo persone di ogni genere, età e status socioeconomico, con numeri in costante crescita. È associata a molte altre patologie, tra cui diabete di tipo 2, malattie cardiovascolari, alcuni tipi di cancro, problematiche osteoarticolari, ansia e depressione.
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, la prevalenza dell’obesità è triplicata dal 1975. Nel 2016, oltre 1,9 miliardi di adulti (età ≥18 anni) erano in sovrappeso e, tra questi, più di 650 milioni erano obesi.
Questi dati rendono evidente la necessità di comprendere a fondo le cause di questa malattia così invalidante e diffusa. Oltre ai fattori comportamentali e alimentari, vi è una componente genetica che riveste un ruolo rilevante.
Il ruolo della genetica nell’obesità
Numerosi studi scientifici hanno confermato l’esistenza di una componente genetica significativa nell’aumento ponderale.
Sebbene la multifattorialità giochi un ruolo essenziale, è importante distinguere l’obesità prevalentemente legata allo stile di vita da quella con una chiara base genetica. La predisposizione ereditaria non determina in modo assoluto lo sviluppo della malattia, ma può facilitarne l’insorgenza attraverso l’interazione tra geni e ambiente.
I principali geni coinvolti regolano il senso di sazietà e il dispendio energetico, tra cui:
- LEP (leptina) e LEPR (recettore della leptina): regolano il senso di sazietà
- POMC e MC4R: coinvolti nella soppressione dell’appetito
- PCSK1: fondamentale nel metabolismo energetico e nella regolazione dell’insulina
Comprendere il funzionamento di questi geni è cruciale per intervenire in modo mirato nei casi di obesità su base genetica.
Obesità monogenica
Nota anche come obesità mendeliana, è causata da alterazioni in un singolo gene e segue un pattern di ereditarietà autosomico recessivo. Si manifesta precocemente con sintomi evidenti come iperfagia e rapido aumento ponderale.
L’asse leptina–melanocortina
Questo pathway regola appetito e spesa energetica.
Leptina (LEP) e recettore (LEPR): una loro alterazione compromette il segnale di sazietà, provocando fame insaziabile, disfunzioni endocrine e obesità grave a esordio precoce.
POMC: mutazioni rare, associate a obesità, insufficienza surrenalica e carnagione chiara per deficit di ACTH e MSH.
MC4R: è la mutazione più comune tra le obesità monogeniche (1–6% dei casi infantili gravi), causa iperfagia, obesità e alta statura.
PCSK1: coinvolto nella produzione di insulina, leptina e altri ormoni digestivi. Mutazioni causano obesità grave, diabete precoce, malassorbimento intestinale e ipoglicemia reattiva.
Altri geni rilevanti: SIM1 (sviluppo ipotalamico), BDNF (regolazione dell’appetito).
Obesità poligenica
È la forma più comune e deriva da numerose varianti genetiche, ciascuna con un piccolo effetto individuale ma che, combinate, aumentano significativamente il rischio.
Fattori ambientali come stress, sedentarietà e alimentazione errata amplificano questo rischio.
Geni coinvolti: FTO, MC4R, TMEM18, BDNF, NTRK2
È dimostrato che a parità di stile di vita scorretto, chi ha certe predisposizioni genetiche ingrassa più facilmente.
Punteggi di rischio poligenico (PRS)
I PRS quantificano il rischio genetico combinando più varianti. Chi si colloca nel quintile più alto ha un rischio 4–5 volte maggiore di sviluppare obesità rispetto a chi è nel quintile più basso.
Obesità sindromica
Questa forma si presenta nell’ambito di sindromi genetiche, spesso con anomalie congenite, deficit cognitivi o comportamentali. Richiede un approccio terapeutico multidisciplinare.
Sindrome di Prader–Willi (PWS)
Causa: alterazioni del cromosoma 15.
Sintomi: ipotonia, iperfagia, bassa statura, disabilità intellettiva, comportamenti ossessivi.
Sindrome di Bardet–Biedl (BBS)
Trasmissione autosomica recessiva, coinvolge oltre 20 geni.
Sintomi: obesità infantile, cecità progressiva, anomalie renali, polidattilia.
Sindrome di Cohen
Mutazioni nel gene VPS13B.
Sintomi: disabilità intellettiva, obesità infantile, tratti facciali caratteristici.
Sindrome di Albright (AHO)
Mutazione nel gene GNAS.
Sintomi: obesità, bassa statura, resistenza ormonale multipla.
Sindrome dell’X fragile
Causa: espansione CGG nel gene FMR1.
Sintomi: ritardo cognitivo, tratti autistici, iperattività, aumento ponderale.
Diagnosi genetica e nuove frontiere terapeutiche
L’approccio attuale all’obesità è multifattoriale. Di fronte a obesità grave, precoce o con iperfagia, è raccomandata un’indagine genetica.
Diagnostica genetica e molecolare
Tecniche utilizzate:
- NGS (Next Generation Sequencing)
- MLPA (Multiplex Ligation-dependent Probe Amplification)
- Array-CGH
- PCR e analisi di triplette (es. per sindrome dell’X fragile)
Trattamenti personalizzati e ricerca farmacogenetica
L’identificazione del profilo genetico consente trattamenti su misura, combinando:
- terapia farmacologica
- interventi nutrizionali
- supporto psicologico
- endocrinologia
- chirurgia bariatrica nei casi più gravi
La ricerca farmacogenetica sta sviluppando terapie mirate, come agonisti MC4R e modulatori della via leptina-melanocortina.
Conclusione: verso una medicina di precisione
L’obesità genetica comprende condizioni rare e comuni, e richiede un approccio integrato e personalizzato.
Identificare la base genetica consente non solo diagnosi più accurate, ma anche percorsi terapeutici più efficaci e consulenza genetica familiare.
La medicina del futuro sarà sempre più personalizzata: la sfida sarà coniugare genetica, ambiente e supporto clinico per migliorare la vita dei pazienti.
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